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TERRA SANCTI BENEDICTI
Il regime alimentare nella Regola di San Benedetto
A Montecassino il vino abbondava e i suoi monaci, ad esempio d’estate, ricevevano un frutto e singulas fialas da bere dopo nona, mentre durante la fienagione chi lavorava sotto il sole beveva a metà mattina vino intriso di miele (potionem ex melle) e i malati trovavano cura e sollievo alle loro infermità nei preparati a base di erbe, miele rosato, vino e mosto. A Montecassino i fratelli possono bere in modo moderato e l’abate, interpretando i bisogni della sua comunità, ha l’autorità per integrare la quantità di vino giornaliera destinata ai suoi monaci. A Montecassino il vino puro e forte allietava la tavola dei monaci, i quali lo prendevano talvolta con il miele e non disdegnavano il novello dopo la vendemmia, mentre in occasione della festa di san Nicola accompagnavano la distribuzione del ricercato pane con lo zenzero (zinziberatum) con dell’ottimo vino rubeo;
Il miele riscaldato sciolto nel vino (mulsum), lo rendeva più amabile, nutriente e forte. Bere vino nel medioevo era sovente più salutare che bere acqua, la cui potabilità era a rischio a causa dell’assenza di adeguate strutture igieniche e fognarie, mentre il mosto fermentando si sterilizzava da sé.
A Montecassino gli ospiti ricevevano due pani e un orcio di vino al giorno, corrispondente alla misura monastica quotidiana, e «iustitias panis et vini» erano assicurate agli operai che lavoravano al restauro della chiesa abbaziale; i monaci invece erano dotati di piccoli boccali ansati (de ciatis) per attingere il vino dai vasi di terracotta (de urceis) posti sui tavoli del refettorio, mentre quando bevevano il vino nuovo (mustum) usavano delle caraffe più capienti (nappos). Nelle consuetudini di Fulda e di Treviri, tuttavia, si precisa che a tavola il vino era servito nelle coppe, ma ai più giovani quando si distribuiva la carità non erano dati dei semplici recipienti, bensì preziosi bicchierini di vetro lavorato, che essi tenevano in mano per il manico, e con i quali andavano al centro del refettorio per ricevere la benedizione dell’abate prima di bere; tali contenitori dovevano essere naturalmente ben lavati per non rovinare il vino.
La Curtis
La curtis è l’organismo fondiario fondamentale dell’epoca della Terra Sancti Benedicti che va dal 774, anno della donazione da parte di Gisulfo II, al 883, anno della distruzione dell'Abbazia per mano dei Saraceni. Prima della donazione, il territorio nei pressi di Montecassino era suddiviso in fondi imperiali e fondi delle ricche gentes locali, come i Paccia e i Luccia.
Non esisteva quindi un effettivo potere temporale del monastero.
La parte del possedimento che faceva capo ad una cella era appunto la curtis. Venne intrapresa l’edificazione di una vasta basilica, il Divin Salvatore, ovverosia la curtis maior da cui dipendevano le altre. Ogni curtis tendeva ad essere economicamente autonoma, in linea con lo spirito della Regola benedettina. La Regola imposta da Benedetto, «ora et labora», prevedeva un’equa distribuzione del tempo della giornata, suddiviso fra attività pratiche, contemplazione o preghiera, attività intellettuali.
I benedettini contribuirono largamente alla “costruzione” del paesaggio così come lo conosciamo. La diffusione della coltura dell’ulivo e della vite si deve alla loro opera.
La storia in breve
Distruzione longobardi 577
717 ripresa attività
Sec VIII monaci mandati in Germania meridionale per riformare e fondare monasteri
Copia della regola di San Benedetto per Carlomagno
Paolo Diacono: Historia langobardorum
Scuola monastica
Sacco arabi 883, monaci fuggiti a Teano, ritorno 949
Fioritura sec X-XI: favoreggiato dai normanni
Propagazione riforma gregoriana
2 abati diventano papi (Federico di Lorena: Stefano IX/X; Desiderio 1027-1087: Vittore III, 1086-1087)
protezione imperiale contro signori secolari
Desiderio abate 1058: donazioni imperiali e reali di terreni, erudizione e arte fioriscono teologia, storiografia (ad es. Paolo Diacono), diritto romano.